Quando una penna come quella di Damir Ivic decide di scrivere della tua musica, non è mai un gesto scontato. Il suo recente articolo dedicato a Teamcro non è solo una recensione; è un’analisi lucida, profonda e necessaria della condizione del rap italiano, che parte dal nostro lavoro per lanciare una riflessione molto più ampia.
Il rap italiano tra routine e rischio
Damir parte da una domanda scomoda: dov’è finita la creatività nel rap italiano? Schiacciata tra pop commerciali e trap di maniera, la scena mainstream sembra essersi seduta su formule comode, ritornelli rassicuranti e metriche prevedibili. L’elettronica? Usata poco, spesso in modo pigro. I testi? Incastrati nei soliti cliché.
Il successo premia chi gioca secondo queste regole – e Damir lo riconosce, senza snobismi – ma avverte anche un pericolo: a forza di inseguire numeri facili, si rischia di perdere l’identità originaria dell’hip hop, quella che voleva cambiare le regole, non seguirle.
teamcro tape: una scossa al sistema
È in questo contesto che Damir racconta “teamcro tape”, il nostro progetto nato da Deriansky, Deepho, Michael Mills e 9DEN, parmigiani trapiantati a Milano e pubblicato da Asian Fake a febbraio 2025. Un progetto che – secondo le sue parole – non copia né rincorre, ma decostruisce e ricostruisce con originalità.
Tra i punti che Ivic evidenzia:
- La destrutturazione delle basi trap, lontane dalla comfort zone della latin-pop;
- Un lavoro meticoloso sulle metriche e sugli incastri, dove il flow non è mai banale;
- L’equilibrio tra digitale e strumenti suonati, anche grazie alla collaborazione con 72-Hour Post Fight;
- Una scrittura che rompe lo schema: introspezione, ironia, provocazione, surrealismo, oltre il “tremendismo di strada”.
E sì, lo dice chiaramente: se non l’avete ascoltato, teamcro tape è da recuperare subito. Anche se vi spiazza. Anzi, soprattutto se lo fa.
Un invito alla riflessione
Il pezzo di Damir è un’esortazione – a noi, ma anche a chi ascolta – a non rassegnarsi alla normalizzazione, a non accontentarsi del suono che funziona solo perché funziona. Perché innovare è difficile, è rischioso, ma è anche l’unica strada per costruire un futuro musicale che non sia un semplice replay del passato.
Il suo non è l’elogio dell’underground fine a sé stesso, né una nostalgica chiamata al boom bap: è la voglia di vedere una scena viva, coraggiosa, capace di sorprendere. In questo, sentiamo che teamcro ha qualcosa da dire. E siamo felici che qualcuno come lui l’abbia ascoltato, davvero.
Grazie, Damir.
Per la lucidità, per la profondità, per aver colto il cuore del nostro lavoro. E per averci ricordato che rompere gli schemi è ancora un gesto che vale.